Nel nostro Road Trip dei Paesi Baschi ovviamente non poteva mancare un’esperienza di fine dining pluristellata, dal momento che la zona vanta oltre 40 ristoranti stellati Michelin e rappresenta una delle destinazioni più allettanti per i gourmet dai palati più esigenti. Ed è con enormi aspettative che arriviamo ad una delle tappe più ambite del nostro viaggio: il pranzo da Azurmendi, ristorante tre stelle Michelin dello Chef Eneko Atxa. Presente al sedicesimo posto nella lista dei 50 migliori ristoranti al mondo, Azurmendi vanta anche un approccio sostenibile alla ristorazione, con un’attenzione particolare al riciclaggio dei materiali e dei propri rifiuti oltre allo sfruttamento di energia geotermica.
Ma veniamo al dunque… arriviamo in questa oasi immersa nel verde, appena alle porte di Bilbao. Il panorama, che ci accompagnerà in seguito lungo il pranzo, è veramente mozzafiato e molto rilassante, affacciandosi sulle verdi colline circostanti. Ad accoglierci è il maitre del ristorante, che ci offre subito un “pic nic” moderno insieme a un calice di Txacoli. Deliziose le “palline fiorite”, ripiene di un liquido agrumato che esplode letteralmente di gusto; sfiziosi i bocconcini ripieni di crema di anguilla (se ben ricordo); assolutamente sorprendente la gelatina di acqua di pomodoro, da un sapore cosí semplice e intenso da lasciarmi a bocca aperta.
In seguito, il maitre ci conduce verso un membro della brigata che ci sta aspettando. Si tratta di una ragazza italiana, probabilmente scelta come nostro Cicerone data la nostra provenienza. Sarà lei ad accompagnarci nella prima fase della nostra esperienza, ovvero un aperitivo itinerante tra cucine e sale tematiche, dove ci verrà spiegato il “concept” del ristorante, gli ingredienti utilizzati e ogni stuzzichino che ci viene proposto. Le mise-en-bouche si trovano lungo il percorso, adagiate in delle vignette che assomigliano quasi a delle scene teatrali, tutte incentrate sui temi del territorio. È cosí che raccogliamo una “nocciola” da un alberello bonsai, una sorta di cioccolatino salato ripieno di… burro di nocciola!? Una goduria infinita, mentre la nostra cuoca ci mostra la cucina e risponde alle nostre domande. Assaggeremo diversi altri stuzzichini sorprendenti: l’estate di un succo di mais davvero unico; la primavera di un “fiore di cotone” di zucchero filato, ricoperto di polvere di asparago; l’autunno di una sottilissima foglia, fatta con funghi del bosco; l’inverno di un’oliva gelata. Dal punto di vista gastronomico, l’esperienza è curata e interessante, ma purtroppo stona la fretta che ci sentiamo addosso, quasi come ci fosse una tabella di marcia da seguire meticolosamente, dove non sia permesso soffermarsi un attimo in più a gustare le varie specialità con calma. Peccato.
Finito l’aperitivo, salutiamo la nostra cuoca-guida e proseguiamo in sala dove verranno servite le portate principali. Ci accomodiamo e il tavolo è spazioso e confortevole, con una splendida vista sulla vallata dalle enormi finestre che incorniciano il ristorante.
Ci viene portato il menù, ma la spiegazione della differenza tra le due formule principali resta molto vaga. Scegliamo la formula Adarrak per poter assaggiare il “signature dish” di Eneko Atxa, ovvero il suo uovo tartufato cotto dall’interno, e ne vale effettivamente la pena. Arrivano una miriade di piatti sorprendenti, meravigliosi nella presentazione, a volte estremi nel gusto. Le prime portate sembrano incentrate sul singolo ingrediente protagonista, espresso in una varietà di consistenze inusuali per esplorarne tutte le sue sfumature di sapore. È cosí per l’ostrica, accompagnata da un’alga in “panatura” di piccole bollicine solide – come un caviale di succo di ostrica – e da foglie di ostrica; come anche per il riccio di mare, un’opera d’arte per gli occhi, ed un’esasperazione del suo stesso gusto, o la deliziosa aragosta, servita su una riduzione concentrata dei suoi sapori, con un bastoncino croccante che richiama quasi il suo carapace. Proseguendo, i piatti principali diventano meno “monotematici” e si sviluppano in accostamenti interessanti, come la coda di rospo avvolta nel prosciutto iberico di bellota servita insieme al foie gras della stessa rana pescatrice. Mi annoia personalmente l’utilizzo sparso e ripetuto di gocce di maionese colorate, bellissime nella presentazione ma stucchevoli per la loro onnipresenza. Notevoli alcuni dei piatti successivi, come i fagiolini tenerissimi e il loro caviale, dal gusto vagamente affumicato; il maialino iberico fritto in crosta croccante; il piccione con la sua duxelle.
Raccontarvi ogni piatto sarebbe impossibile, ma arriviamo alla fine del pasto veramente strapieni. Ci viene consegnato un gentile omaggio dello Chef, un sacchettino di juta contenente i semi dell’orto del ristorante, e il menù appena concluso sigillato da un’elegante ceralacca con lo stampo caratteristico di Azurmendi.
Concludiamo la nostra esperienza con un giro individuale nella serra del ristorante, che si trova proprio accanto al parcheggio. Interessante vedere alcuni dei prodotti appena assaggiati, ancora attaccati alla pianta, come anche l’impressionante collezione di semi – di mais, di pomodoro…
Riassumendo, la nostra esperienza da Azurmendi oscilla tra una serie di alti e bassi. Alti veramente altissimi e bassi piuttosto sorprendenti visto il livello del ristorante. Indiscutibile la bellezza, l’eccellenza e la ricercatezza delle varie portate, ma attenzione, i piatti non sono per tutti: principalmente, i sapori presentati non sono affatto ruffiani e richiedono un palato piuttosto allenato. E personalmente, dal punto di vista del cibo, mi ha scocciato quell’utilizzo ripetuto e particolarmente pesante della maionese – quasi una mancanza di idee. Dal punto di vista dell’esperienza, mise en place certamente impeccabile e servizio corretto, anche se manca nettamente di “calore” e di spontaneità. Inaccettabile è invece la pressione che ci siamo sentiti addosso all’inizio del percorso, quasi come fossimo parte di una catena di montaggio, rovinando l’atmosfera rilassata che un cliente dovrebbe poter apprezzare in un’esperienza di lusso come questa. Infine, piccola delusione il fatto che lo Chef non fosse presente e non abbia fatto un giro in sala. In sintesi, Azurmendi merita certamente le attenzioni e gli apprezzamenti che continua a ricevere, ma le mie aspettative per le tre stelle non sono state del tutto soddisfatte. Ah, e la digestione va detto che non è stata proprio delle più facili, anche se dopo circa 16 portate non so proprio a chi dovrei dare la colpa… 🙂 Il nostro racconto oggi finisce qui, restate in linea per la prossima puntata, tra Bilbao e il suo meraviglioso Guggenheim!
Che bella esperienza… ma effettivamente e’ un peccato non aver avvertito il calore necessario ad un posto cosi speciale. Credo sia questo che alla fine spinge le persone a ritornare, no?! Ad ogni modo mi piacerebbe viistarlo e attendo Bilbao a braccia aperte!
Buon proseguimento e grazie per i tuoi racconti,
tokyomelange
Grazie mille per seguire il mio racconto passo-passo! 🙂 A presto con Bilbao e grazie tantissime per la citazione nel tuo Liebster Award 2016!!! Ne sono onorata!
Cara Doriana mi sono permessa di citarti in uno dei miei post per il Liebster Award 2016. Spero ti faccia piacere… ad ogni modo trovi altre informazioni su http://www.tokyomelange.com
Buon proseguimento!
tokyomelange